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domenica 1 maggio 2011

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI LAVORATORI DI CROTONE

Crotone - Domenica, 7 ottobre 1984
1. Esprimo innanzitutto la mia gratitudine al signor sindaco della città e all’arcivescovo monsignor Giuseppe Agostino per le cortesi parole di benvenuto che mi hanno rivolto, e dico il mio grazie all’operaio e al dirigente che a nome di tutto il personale degli stabilimenti industriali della Montedison, della Pertusola, delle altre industrie e aziende mi hanno indirizzato così significative espressioni che hanno toccato il mio cuore.

Ringrazio con sincero affetto tutti i presenti, per la calorosa accoglienza. Saluto la bella e vetusta città di Crotone e tutti i suoi abitanti; saluto le comunità cristiane di Santa Severina e di Crotone e invoco dalla vostra “Madonna di Capocolonna” ogni aiuto e protezione per le vostre persone, per le vostre famiglie, per i vostri cari vicini e lontani, per gli ammalati, per le persone anziane, per coloro che si sentono soli e abbandonati, per tutti coloro che soffrono. 


Un saluto particolare rivolgo a voi, cari operai e dirigenti dell’area industriale del Crotonese, e attraverso voi, a tutto il mondo del lavoro di Calabria. Desidero manifestarvi la mia gioia e la mia soddisfazione di trovarmi in mezzo a voi; sono sentimenti che provo tutte le volte che mi trovo accanto a coloro, come voi, che mediante il lavoro, si procurano il pane quotidiano e contribuiscono al progresso di tutta la società.

Si tratta di sentimenti profondi e radicati nel mio animo, e io li esprimo volentieri a conferma della singolare vicinanza che provo per il mondo del lavoro, nel ricordo dell’esperienza personale di operaio da me vissuta, anche se breve e ormai lontana. Quell’esperienza non si cancella, ma si ravviva quando, durante le tappe del mio ministero, mi è dato di incontrare lavoratori e dirigenti, quali siete voi.

Essa si rivela, anzi, preziosa nell’esercizio del mio apostolato, perché mi mette in condizione di capir meglio la vostra mentalità, come i vostri problemi e sacrifici.



2. Sono a conoscenza che il Crotonese, con la sua vasta area industriale, con la sua agricoltura e il recente superamento del latifondo, con i due porti e l’aeroporto, con la genialità del suo artigianato e col crescente incremento delle attività turistiche, costituisce uno dei più rilevanti poli di sviluppo economico della Calabria.

So anche che non mancano le difficoltà e le ricorrenti crisi che mettono in pericolo gli stessi posti di lavoro e creano disoccupazione: difficoltà e crisi, che sono comuni anche alle società più industrializzate ed economicamente forti, ma che qui, nel quadro della “questione meridionale” e più specificamente della “questione calabrese”, assumono connotazioni di particolare gravità, per le conseguenze sociali che comportano, per le preoccupazioni che suscitano in numerose famiglie e per lo scoraggiamento che provocano nei giovani e il terribile male della droga che in questi alimenta.

Il comprensorio del Crotonese, con le sue molteplici attività economiche, sta a dimostrare la laboriosità di questo popolo, come di tutto il popolo calabrese; sta a dimostrare che, con l’apporto di tutte le forze, con il necessario intervento dello Stato e della regione insieme all’opera dei comuni e delle libere iniziative, questa vostra laboriosità, accompagnata alla tenacia del vostro impegno e allo spirito di sacrificio che lo contraddistingue, può essere in grado di sconfiggere le difficoltà, di superare le crisi, di valorizzare tutte le risorse che non mancano alla vostra terra e quindi di creare quelle condizioni di benessere cui ogni essere umano ha diritto.



3. Cari lavoratori e cari fratelli e sorelle! So che da me, messaggero del Vangelo, non vi aspettate la soluzione dei problemi economici e sociali della vostra terra; da me voi aspettate una parola che aiuti la vostra crescita umana e soprattutto che rafforzi la vostra vita spirituale e religiosa. Aspettate da me una parola di incoraggiamento che vi sostenga nel quotidiano impegno, vi aiuti a superare le difficoltà del momento, alimenti in voi “la speranza di luce”, di cui hanno parlato nella loro lettera i vescovi della vostra regione.

Ebbene, la mia parola, a spirituale conforto, quasi per accendere quella speranza e avviare l’auspicata ripresa, vuol essere l’annuncio del “Vangelo del lavoro” che ci rivela in modo compiuto la dignità e la sacralità del lavoro umano.

Oggi è domenica, e dunque giorno di riposo, mentre gli altri giorni sono quelli destinati al lavoro. Ma proprio questa coincidenza è favorevole per fare una sorta di pausa, e opportuna per avviare una riflessione in merito alla vera natura del lavoro. Come ogni espressione dell’uomo, così anche il lavoro partecipa della dignità dell’uomo e, essendo questi creatura spirituale, “creata a immagine e somiglianza di Dio” (cf. Gen 1, 26), non può non comunicare qualcosa di se stesso a tutto quello che fa, con le mani e con la mente, producendo, trasformando, realizzando. Il lavoro umano, in tutte le sue forme e modalità, ha sempre un intrinseco carattere sacro.

Oggi, forse, a motivo dei tanti problemi che assillano, c’è il rischio di circoscrivere in una sfera del tutto terrena il concetto stesso di lavoro. Ma così non può né deve essere, anche se sono pienamente giustificate le preoccupazioni e le accennate difficoltà. È necessario - vorrei ricordarvi - tener sempre presente l’anteriore e superiore qualità del lavoro, che come “frutto dell’uomo”, cioè del suo impegno, della sua genialità, della sua coscienza, appartiene alla sfera della spiritualità e della moralità.

Da questo elevato punto di vista non è difficile salire ulteriormente fino al piano religioso. L’uomo che lavora presta una sorta di collaborazione, limitata quanto si vuole, ma reale, a Dio che crea: egli sa di aver ricevuto tutto da Dio, conosce il mondo nel quale opera, e non può fare a meno di prenderne atto con un senso di ammirato stupore e di sincera riconoscenza. Ecco, io penso che dall’immagine dell’umile coltivatore delle età più remote, il quale deponeva la rudimentale sua zappa e, certo intuendo la “santità” della sua fatica, si levava al pensiero dell’onnipotente Creatore, venga anche al giorno d’oggi, all’operaio di oggi, che pur si avvale di una tecnica incomparabilmente più raffinata, un’indicazione e quasi una lezione di perdurante validità. Ben lungi dall’abbassare o degradare, il lavoro è sempre un fattore di elevazione morale e, se rettamente inteso e onestamente esercitato, può addirittura contribuire alla necessaria formazione religiosa dell’uomo.

Questo è il “Vangelo del lavoro”, questa è la verità sul lavoro umano, che vale per i lavoratori calabresi come per i lavoratori di ogni parte del mondo, per i lavoratori dell’industria come per quelli dell’agricoltura e di ogni altro settore di attività: che vale per il lavoro manuale come per il lavoro intellettuale, dirigenziale e amministrativo e per qualsiasi altro lavoro nel quale si esprime l’attività dell’uomo nella società.

Questo significa che ogni società, come la società calabrese, deve essere organizzata in modo che ogni cittadino abbia il suo lavoro, che questo lavoro sia dalle leggi adeguatamente tutelato e difeso, e che sia rispettato il principio della priorità del lavoro umano nei confronti degli altri elementi della produzione, tenendo sempre presente che mai la ricerca del profitto debba essere anteposta ai bisogni dell’uomo che lavora.



4. Oggi è il giorno del Signore, e ciò dicendo sia voi che io siamo facilmente portati a ricordare quel grande comandamento della legge antica e nuova, che suona così: “Ricordati di santificare le feste”. Ci sono - come ho già accennato - i giorni riservati al lavoro, ma ci sono anche, e ci debbono essere per naturali e ovvie ragioni fisiologiche e psicologiche, i giorni del riposo. Ma come debbono esser vissuti questi giorni? Solo nell’astensione dalle occupazioni ordinarie? Solo nell’onesto divertimento e nella pratica dei cosiddetti hobbies? Ci vuole - io vi dico fraternamente - qualcosa di più e di meglio: non si debbono mai dimenticare nella propria vita le esigenze di ordine spirituale. Che ne sarebbe della nostra fede, se ignorasse nel corso ordinario dell’esistenza la pratica religiosa e non ne avvertisse la necessità? Occorre, cari fratelli e sorelle, che la nostra fede cristiana si manifesti anche all’esterno con puntuale presenza e frequenza, rendendo a Dio Padre il culto dovuto, edificando con l’esempio gli altri fedeli, dimostrando e attestando la realtà storico-esistenziale di quella Chiesa, della quale ciascuno di noi è parte viva.

5. Cari lavoratori! Sappiate che la Chiesa vi guarda con simpatia e solidarietà: anche voi guardate alla Chiesa con amicizia.

La Chiesa vi è amica perché il suo stesso fondatore, Gesù Cristo, fu un lavoratore, perché egli - come leggiamo nel Vangelo - nelle parabole sul regno di Dio si richiama costantemente al lavoro umano: al lavoro del pastore, dell’agricoltore, del seminatore, del padrone della vigna, dei vignaioli, del pescatore, del mercante, dell’operaio, ai diversi lavori delle donne. La Chiesa vi è amica perché vuole che sia riconosciuta la vostra dignità di lavoratori, perché nel mondo del lavoro vuole che regni la giustizia.

Aprite le porte delle vostre fabbriche al Cristo redentore e liberatore. Ricordate che Gesù, divino lavoratore, appartiene al mondo del lavoro, come voi appartenete a lui; egli è sempre vicino a voi accanto al banco del vostro lavoro; quando la fatica del lavoro si fa sentire, ascoltate le sue parole: “O voi tutti che siete affaticati e oppressi, venite a me e io vi ristorerò” (Mt 11, 28).

Gesù è un vostro amico, è un vostro fratello, che conosce e condivide le vostre fatiche. Egli vi precede nelle strade della vita per illuminarvi, per confortarvi, per portarvi - lui vero Figlio di Dio - alla conoscenza e all’esperienza dell’incontro con l’unico Padre che sta nei cieli.

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